Gravity

Gravity
Gravity

Gravity è un film che non si può raccontare, le parole sono inadeguate a far comprendere anche solo una parte dell'esperienza che si vive vedendo direttamente il film. Sapevo prima di sedermi davanti allo schermo che avrei "sofferto", ho un sesto senso per questo cose, quando un film è in grado di toccarmi l'anima lo capisco ancor prima di vederlo, ne sento l'odore, ne percepisco le vibrazioni, non so come tradurre questa percezione, ma è una condizione che oramai riconosco fin troppo bene. Con Gravity è accaduto, intendiamoci una sofferenza catartica, necessaria per crescere, ma pur sempre una sofferenza, la sensazione dello stomaco prima strappato via e poi rimesso al suo posto, tutto ciancicato, accartocciato e indolensito però. C'è chi ha parlato di un Open Water spaziale, e in qualche misura è vero, il parallelo non è peregrino, anche se emotivamente parlando Open Water (che è un signor bel film) sta a 10, Gravity a 100. Dopo aver visto Open Water sapevo di aver visto un gran bello spettacolo, stimolante e originale, con Gravity sono morto e risorto in 90 minuti. Altro elemento di grandezza di questa pellcola, gli appena 90 minuti nei quali vivi tutto quello che c'è da vivere, senza bisogno di sbrodolare oltre le 2 ore e mezza come oramai avviene (troppo) spesso. Ti chiedi come sia possibile che non abbia vinto l'Oscar, come il duemiliardesimo film sulla schiavitù abbia potuto scippare la statuetta ad un film che, anche solo per come è stato realizzato, annienta tutto ciò che avete visto fino ad oggi al cinema. Vabbè, consoliamoci, non è l'Academy Awards che decreta il reale valore di un film, ed in generale non lo è nessun premio.

Non saprei da dove cominciare a descrivere Gravity. Cuarón era stato fin qui un discreto autore (per altro insieme al fratello sceneggiatore) ma certo non mi aspettavo un esito così kubrickiano; la coppia di attori, smaccatamente hollywoodiana, poteva lasciar presagire ad un'intensità un po' addomesticata, edulcorata, ed invece la Bullock e Clooney hanno sfatato ancora una volta come lo sparare a zero sul cinema americano sia un atteggiamento spocchioso e snobistico da ottusi radical chic. Il cinema americano è tutto, può far tutto, da Fast And Furious 85 a Gravity, non possiamo dire lo stesso di quello italiano (ma nemmeno di quello francese, iraniano o vattelappesca di quale altro paese politicamente dalla parte "giusta"). La rappresentazione visiva e sonora dello spazio è senza pari, prova ne sia che gli stessi astronauti (quelli veri) hanno confermato che Gravity è quanto di più vicino si sia mai visto a ciò che realmente accade quando si è lassù, a 600 km dalla Terra. Cuarón ha studiato tutto, programmato tutto per mesi, curato ogni minimo maniacale aspetto e dettaglio. Il suono del film impressiona forse ancor più di ciò che si vede. Il silenzio, ma non totale (altrimenti sarebbe stata un'esperienza alienante e basta per lo spettatore); un silenzio accompagnato da rumori ambient, vitrei, sintetizzatori usati con intelligenza, una musica che, quando c'è, non viene né da destra, né da sinistra, né dal centro, ma viene da tutte le direzioni e va in tutte le direzioni, esattamente come un uomo in balia dell'assenza di gravità e pressione, sciabordato e disorientato. E poi ci sono i rumori, che viviamo attraverso i personaggi, letteralmente come se fossimo nella tuta della Bullock e di Clooney. Quindi il respiro, ora calmo, ora affannato, il battito cardiaco, e le vibrazioni dovute al tatto, all'impatto con gli oggetti. Magnifico.

Gravity è pino di simbolismi, ed in questo senso è riuscito a coniugare lo Spazio dell'America con quello della Russia (ex Unione Sovietica). Lo Spazio come luogo di conquista ed avventura, ma anche come luogo metafisico, dell'intelletto. La dottoressa Ryan Stone è immersa in un confine liminare tra la vita e la morte, un confine interiore ed esteriore. Interiore perché prodotto dalla sua esperienza di vita (la perdita di una figlia di 4 anni, un lutto mai superato e che ha lentamente spento la donna), esteriore perché le polarità che incorniciano la Stone sono da una parte la Terra (la vita, bellissima, luminosa, lussureggiante, ancorché immensa, solenne e severa), dall'altra la profondità oscura dello spazio, (altrettanto suggestivo, affascinante e solenne, ma anche un viatico per la fine ultima, l'oblio, il niente). La lotta primoridale, radicale, della Stone contro gli elementi è anche la lotta contro i suoi demoni, contro il male di vivere, contro la voglia di arrendersi e smettere di soffrire per sempre. Queste due polarità non la abbandonano mai, e condizionano ogni suo gesto. Il rovescio della medaglia è Matt Kowalsky, astronauta di grande esperienza, vivace, guascone, che vive il presente e gode della bellezza che gli si para davanti agli occhi, momento per momento. Kowalsky è necessario alla Stone, è il motore della sua catarsi, la scintilla della sua rinascita, quasi un angelo, visto il contesto empireo nel quale ci troviamo e visto anche un espediente narrativo col quale più avanti Cuarón ridisegnerà il personaggio di Clooney.

La Bullock è formidabile, alla faccia di quelli che se la ricordano solo per le commedie amorose tutte smorfiette. Non è il primo ruolo drammatico di Sandy, ma certo è il primo ruolo di questa intensità e profondità devastanti. Chiaro che l'Oscar - tanto per ribadire - sarebbe stato il minimo, ma lo ha vinto la Blanchett, brava senza ombra di dubbio, ma alle prese col 280esimo (solito) film di Allen. Guardate Gravity, se non lo avete ancora visto, e poi ditemi quante altre attrici (viventi) vi vengono in mente che avrebbero potuto dare quello che ha dato la Bullock a questo film. Quante ne avete contate, 2....forse 3? La Warner Bros aveva inizialmente pensato ad Angelina Jolie per questo ruolo, ma fu la stessa Jolie e non volersi impegnare. La lista delle probabili candidate alternative è impressionante: Marion Cotillard, Scarlet Johansson, Blake Lively, Rachel Weisz, Natalie Portman, Naomi Watts, Abbie Cornish, Carey Mulligan, Sienna Miller, Rebecca Hall, Olivia Wilde. Almeno metà di queste avrebbero ucciso il film. Anche per il ruolo di Clooney è stato messo su un bel circo; il primo candidato fu Robert Downey Jr, che però era impegnato con Iron Man 3 e The Avengers. Successivamente, sono stati presi in considerazione: Daniel Craig, Tom Cruise, Tom Hanks, Harrison Ford, John Travolta, Bruce Willis, Russell Crowe, Kevin Costner e Denzel Washington.

- SPOILER: momenti come quello nel quale, immersa finalmente nel silenzio e nella tranquillità della stazione obitante internazionale Sojuz, la Bullock ha il suo primo insperato attimo di calma e si abbandona completamente, lasciando che l'assenza di gravità ed il naturale movimento dello spazio la cullino riducendola in posizione fetale; come quello in cui, scoperto che la Sojuz non ha carburante per i propulsori, decide di lasciarsi morire, e le frequenze radio le rimandano dalla Terra le voci di un euforico uomo cinese che intona una ninna nanna, l'abbiare dei cani ed il pianto di un bambino (drammaticissima eco della sua bambina perduta); come quello in cui, giunta finalmente a terra, guadagna la spiaggia e fatica enormemente a porsi in posizione eretta, ponendosi prima a 4 zampe, per poi ergersi traballante sotto il cielo, evocando così in qualche misura la rinascita non solo del suo personaggio ma dell'uomo stesso, riassumendo in un istante tutta la sua storia evolutiva, sono esperienze irripetibili, che solo la congiuntura della regia di Cuarón e del talento recitativo della Bullock sono stati in grado di produrre.

Gravity vive del paradosso di un estremo realismo sotto il quale soggiacciono accadimenti anche piuttosto improbabili, come il fatto che una novellina dello spazio sperimenti tutto ciò che vediamo riuscendo comunque, con la sola forza della disperazione e una spinta innata ed incoercibile alla vita, a raggiungere gli obiettivi prefissati, che tutto ciò accada sostanzialmente senza che si procuri un graffio, che le innumerevoli spinte, botte e peripezie non portino al fallimento di un appiglio, ad una presa mancata, ad un comprensibile e fisiologico "liscio" di un approdo ultimo. E' vero, se ci si sofferma a spaccare il capello in quattro Gravity di "forzature" ne ha parecchie, ma in fondo non è il realismo assoluto senza se e senza ma che si chiede a Cuarón (benché gli sia stato riconosciuto più di qualsiasi altro film), quanto piuttosto il fatto che, con un accettabile livello di verosimiglianza (e qui si va molto ma molto oltre) ci racconti una storia appassionante, convincente. Cuarón fa parecchio di più di questo, ci cambia per sempre, attraverso un'esperienza visiva unica, esasperante, penetrante. Al termine di Gravity non sarete più gli stessi di prima, avrete salito un altro gradino della costruzione della vostra personalità e maturità. Scusate se è poco, direbbe Abatantuono. Come se tutto questo non fosse sufficiente, la bellezza impossibile della Bullock nelle interviste contenute negli extra del bluray basterebbe da sola ad obbligare all'acquisto del dischetto.

Trailer ufficiale

Galleria Fotografica