La Conquista Dello Spazio

La Conquista Dello Spazio
La Conquista Dello Spazio

In principio fu il saggio scientifico di Willy Ley (1949), illustrato dal celebre "inventore" della fantascienza disegnata Chesley Bonestell. Poi fu la volta del manuale di Wernher Von Braun (sviluppatore della missilistica nazista, poi importato dagli americani nel dopoguerra e divenuto tra i capostipiti del programma spaziale degli Stati Uniti), The Mars Project (1952). Entrambi si proponevano di divulgare alle masse cosa occorreva e come si doveva fare per avventurarsi nello spazio e colonizzarlo, parecchi anni prima di quel 20 luglio 1969 in cui fu compiuto un piccolo passo per un singolo uomo ma un grande passo per tutta l'umanità. Nel '55 George Pal, regista e produttore ungaro-americano, figura fondamentale per la fantascienza di quegli anni essendo stato tra i primi a beneficiare di "moderni" effetti speciali nei propri film, si incarica di licenziare una pellicola che verta proprio sulla conquista dello spazio, prendendo spunto dai testi citati poc'anzi. La affida a Byron Haskin, già capo della sezione effetti speciali della Warner Bros nonché regista de La Guerra Dei Mondi (sempre per Pal).

L'idea iniziale è quella di sviluppare una storia che si estenda su tutto il sistema solare, inviando di volta in volta l'uomo sulla Luna, poi Marte, Venere, Giove, Plutone. Ma il progetto appare troppo faraonico e quindi viene ridimensionato al solo Marte. La Conquista Dello Spazio così si divide sostanzialmente in due parti, una prima metà tutta preparatoria allo sbarco sulla luna (quindi Willy Ley) ed una seconda che fa rotta verso Marte (quindi Von Braun). Rivisto oggi, ad un miliardo di anni luce di distanza dalla sua realizzazione (nei film di fantascienza purtroppo è così, spesso le vecchie pellicole sci-fi sembrano esattamente quello che sono, vecchie pellicole, contrariamente alle commedie o ai noir datati che rischiano persino di guadagnare fascino con la clessidra), La Conquista Dello Spazio è un film che suscita una gran tenerezza, sgangherato e improbabile tanto da un punto di vista formale quando contenutistico.

Negli studios di Hollywood si sapeva pochino dello spazio, eppure ne azzeccano diverse. Assistiamo ad una nevicata natalizia sul pianeta rosso, vengono rilevati ossigeno ed idrogeno (ma così, a naso), non c'è praticamente gravità (in realtà c'è un accelerazione di gravità pari a 0,376 volte quella terrestre, cioè se sulla Terra pesi 70 kg su Marte equivarrebbe a circa 26 kg, la fine di tutti i dietologi). Va anche detto che la tuta spaziale è praticamente un pigiamino celeste, che mentre l'astronave è in accelerazione nello spazio a milamila miglia al secondo si può tranquillamente passeggiarci sopra senza ancoraggi (addirittura ci viene celebrato un funerale, effettivamente assai suggestivo cinematograficamente parlando, e che Luigi Cozzi sostiene aver molto influenzato Stanley Kubrick), che le proporzioni tra le astronavi, gli astronauti e lo spazio sono completamente sballate, che il razzo parte da Marte con l'equipaggio praticamente in piedi, che la distanza Luna-Marte pare praticamente quella tra Milano e Cologno Monzese, e che ci si spinge a sostenere che Marte sia un pianeta ostile perché è "senza amici", un pianeta che soffre di solitudine, ma che se venisse colonizzato saprebbe offrire i suoi frutti di generosità.

C'è questa curiosa prospettiva religiosa ed umanistica nel film, molto evidente nel personaggio del generale Meritt (Walter Brooke), capo spedizione, nonché stimatissimo capitano di tutte le anime che dimorano nello spazio, sulla Ruota, l'avamposto tecnologico da lui stesso progettato. Ecco, quest'uomo, un militare con evidenti competenze astrofisiche, praticamente un pioniere dell'astronautica, è sconvolto dal fatto che si intenda colonizzare Marte (mentre per la Luna non batte ciglio). Entra in paranoia e comincia a delirare in chiave religiosa. Da Generale si trasforma in moralizzatore gesuita, leggendo passi della Bibbia, lanciando strali e maledizioni ed arrivando a compromettere l'intera missione. Questo giro di volta nel film è potentissimo ma anche parecchio strambo, e non si capisce se sia voluto (ovvero il regista intendesse mettere l'accento sul bipolarismo del personaggio, magari straniato dalla lunga permanenza nello spazio) o capitato (ovvero il film, più o meno consapevolmente, esprime un punto di vista "anni 50" un po' beghino e bigotto). Indubbiamente comunque produce un certo effetto e condiziona tutta la seconda metà della pellicola. Per fortuna a far da contraltare c'è Phil Foster, battutista indefesso che rallegra un po' gli animi. Drammatici gli effetti speciali, terribili da vedere oggi e, per la verità, già fortemente criticati all'epoca, anche se il tutto viene assorbito e smussato dall'effetto nostalgia, inevitabile quando si guarda alla fantascienza hollywoodiana di oltre mezzo secolo fa.

Trailer ufficiale

Galleria Fotografica